Prima di trasferirsi a Parigi Amedeo Modigliani vive in Italia, soggiornando in diverse città, tra Livorno, Firenze e Venezia.
Nel 1904 si trova a Venezia, ma la sua salute è sempre molto fragile e subisce l’umidità del clima veneziano. Decide di andare a trascorrere qualche giorno in montagna, a Misurina sulle Dolomiti.
Durante questo periodo scrive all’amico Oscar Ghiglia confidandogli i suoi tormenti:
“Carissimo Oscar…
L’abitudine alla contemplazione della campagna e della natura alpestre segnerà, credo, uno dei cambiamenti più grandi nel mio spirito. Io vorrei parlarti della differenza che c’è tra le opere degli artisti che hanno maggiormente comunicato e vissuto con la natura e quelli di oggi, che cercano la loro ispirazione negli studi e vogliono educarsi nelle città d’arte.”
Di questo periodo restano le opere realizzate per la famiglia Olfer.
Uno di questi è un olio su tavoletta di piccole dimensioni, autenticato dal pittore Gino Romiti.
Albertina Olfer è la figlia del suo professore di latino e amica di famiglia.
In questo periodo Modì pare abbia realizzato un ritratto dell’attrice Eleonora Duse, la musa di Gabriele D’Annunzio, uno degli autori che predilige imitandone incoscientemente lo stile romantico ed empatico. Realizza anche il ritratto del suo amico Fabio Mauroner, pastello su carta di Amedeo Modigliani, esposto alla biennale del 1930.
Sono gli anni in cui Modigliani è estremamente insoddisfatto e distrugge i suoi studi.
Scrive ancora all’amico Oscar:
“Il tuo dovere è di non consumarti mai nel sacrificio. Il tuo dovere reale è di salvare il tuo sogno. La bellezza ha, anche lei, dei diritti dolorosi, che creano pertanto notevoli sforzi dell’anima. Ogni ostacolo segna un accrescimento della volontà, produce il rinnovamento necessario e progressivo della nostra aspirazione. Abbi il fuoco sacro (io lo dico per te e per me) di tutto ciò che può esaltare la tua intelligenza. Prova a provocarle, a perpetuarle, queste stimolazioni feconde, perché solo esse possono spingere l’intelligenza al suo potere creatore massimo. È per questo che noi dobbiamo lottare.”
Brano tratto dal romanzo “Parlami in silenzio Modì”:
Insoddisfatto, finii per distruggere quasi tutte le opere realizzate, in quanto realmente ricercavano una forma che non riuscivo a trovare attraverso il pennello.
La tensione accumulata nei giorni antecedenti all’inizio di un lavoro su un dipinto, sembrava culminare in una foga pressante che mi veniva da dentro, alimentata da ogni cosa mi accadesse intorno. Decidevo quindi di mettere mano all’opera, pensata e ripensata migliaia di volte. Preparavo i colori, i pennelli, la tela e con pazienza iniziavo a materializzare l’immagine interiore.
Inizialmente mi sembrò di riuscire a scaricare sulla tela l’impeto che mi agitava, ma già a metà del lavoro sentivo che l’opera non era più mia e che non rifletteva l’intento dal quale ero stato animato.
Il distacco era segnato soprattutto dall’assenza del volume. Le figure rappresentate non prendevano forma, non si materializzavano. Così, dopo tanto lavoro, desideravo fortemente distaccarmi dal frutto dell’impegno che non riconoscevo e, spesso, distruggevo le opere, per evitare che qualcuno potesse collegarle alla mia produzione.