L’opera più bella del Rinascimento italiano, la Primavera del Botticelli, nei secoli è stata studiata e analizzata per scoprirne il significato. Tra le varie interpretazioni, oltre a quella letteraria di cui ho già parlato in una pagina precedente, vi è l’interpretazione filosofica pubblicata nel 1945 da Ernst Gombrich.
Lo studioso teorizza una lettura unitaria dei dipinti mitologici del Botticelli in considerazione del pensiero neoplatonico e, in particolare, sulla base dei testi di Marsilio Ficino e di Apuleio.
Si riporta un passo della tesi di Gombrich:
“Marsilio Ficino era il mentore spirituale del committente del Botticelli al momento in cui la Primavera fu dipinta, e che la concezione neoplatonica degli dèi antichi era discussa nelle loro lettere.”
La Primavera sarebbe stata realizzata nel 1477 circa, per una committenza di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico.
Esiste una lettera di Marsilio Ficino indirizzata a Lorenzo di Pierfrancesco che risale a quel periodo, nella quale formula una sorta di oroscopo del destinatario basandosi sul significato dei segni celesti, esortandolo a compiere ciò che gli è stato predestinato.
Per quanto concerne Mercurio e Venere, i due personaggi della Primavera, Ficino scrive:
“essa (la sua anima) dovrebbe anche dirigere il suo sguardo Mercurio, cioè il buon consiglio, la ragione della scienza, perché nulla si deve intraprendere senza consultare il saggio, né alcun che si dovrebbe dire o fare senza una plausibile ragione. Un uomo non versato nella scienza nelle lettere considerato cieco e sordo. Infine essa dovrebbe fissare i suoi occhi sulla stessa Venere, cioè sull’umanità. Attento quindi a non disprezzarla, pensando forse che l’humanitas è di origine terrestre. L’umanità stessa infatti è una ninfa di eccellente grazie nata dal cielo e più di altre amata dall’Altissimo”.
Nella lettera quindi l’interpretazione squisitamente ficiniana riassume in Venere una forma di umanità che si realizza mediante la cultura, la cortesia e la bellezza.
Anche Gombrich accosta i personaggi delle figure del Giudizio di Paride contenuto nell’Asino d’Oro di Apuleio. A Paride compare il dio Mercurio nelle forme di un bel giovane, con una nelle mele d’oro, che Paride per ordine di Giove deve offrire alla dea che giudica la più bella.
Tali interpretazioni ho voluto intersecare all’interno del mio romanzo sulla storia della Venere del Botticelli: Simonetta Cattaneo.
Brano tratto dal romanzo “La Diva Simonetta – la sans par”:
Così acconsento e vedo il mio salotto trasformarsi in un
circolo accademico, dove persone di spicco della cultura fiorentina
del tempo come Pico della Mirandola, Angelo Poliziano,
Cristoforo Landino, e lo stesso Ficino che li guida, si
trovano a disquisire su ogni elemento rappresentato e sulle
figure che si stagliano innanzi, come reali, nonostante la
foggia tipicamente botticelliana che trascende da una rappresentazione
vera e propria della realtà.
«Venere è una figura allegorica. Rappresenta l’Humanitas,
ossia l’educazione umanistica che il maestro Botticelli,
con quest’opera, vi invita a tenere sempre in forte considerazione
» afferma Ficino, attorniato dagli altri adepti, rivolgendosi
direttamente a me «e io aggiungo che si tratta di
una virtù che proviene dall’amore universale e che rappresenta
l’esaltazione gioiosa di un principio di civiltà superiore.
Ella rivolge lo sguardo al dio Mercurio, personificazione
della ragione e della conoscenza». Sorrido e lo ringrazio per
i suoi suggerimenti.