La vita di Amedeo Modigliani è stata assegnata, ripetutamente, dalla malattia che lo ha inseguito sin da giovanissimo.
Consapevole che il ticchettio del tempo non gli avrebbe dato possibilità di meditare e raggiungere le tappe gradatamente, ha cercato sempre di correre, di arrivare prima che tutto fosse stato impossibile.
Nonostante la sofferenza fisica, i suoi amici e conoscenti raccontano di non averlo mai visto triste. Camminava per le strade di Parigi con aria spavalda e sorridente, mettendo allegria a chi lo incontrava.
Nell’agosto del 1919 Modigliani avrebbe dovuto recarsi a Londra per un’esposizione che lo imponeva nel panorama dell’arte, ma la malattia non glielo permise.
Paul Guillaume, che possedeva gran parte dei quadri di Modì, sapeva che i prezzi si sarebbero raddoppiati se il pittore fosse morto. Così ordinò a Zborowski di sospendere tutte le vendite. Ma Modigliani non eseguì immediatamente il programma che gli avevano preparato, come riferisce Osbert Sitwell.
La tubercolosi prendeva piede nel suo corpo, ma anche stavolta Modigliani era riuscito a ingannare la morte.
L’ultima fotografia di Modigliani è del 1919, nella quale l’espressione è triste.
Uno degli ultimi lavori di Modigliani è il grande autoritratto eseguito nell’autunno del 1919. Il pittore si raffigura con la tavolozza in mano e un’espressione indecifrabile, simile a una maschera. Gli occhi sono quasi chiusi e, intorno vi è un insieme di colori autunnali che riprendono lo stile di Cézanne. Da notare anche l’inclinazione del capo, molto ricorrente in Cézanne, con la quale il pittore evoca un senso di malinconia, a testimoniare la maturazione della sua sensibilità.
A guardarlo bene l’autoritratto trasmette un messaggio di commiato, lievemente sorridente come nel suo stile. L’autore, composto, guarda dentro se stesso attendendo che il mondo esplori il suo essere attraverso la grande arte.
Brano tratto dal romanzo: “Parlami in silenzio Modì”:
Il mio corpo, ben presto, è stato marcato dal tempo e dagli avvenimenti terreni, celando interiormente una sveglia ticchettante che faceva diminuire, istante dopo istante, la durata dell’agire. In ugual misura cresceva l’anelito verso l’eternità.
Non avrei mai accettato la fine se non avessi avuto certezza dell’infinito.