Il titolo di questo articolo è tratto dagli archivi della storia siracusana. La frase conclude una lettera inviata al re napoletano Ferdinando, quando nei primi anni del 1800 si paventava il trasporto della Venere Landolina, da poco ritrovata, presso il museo di Palermo, su volere del Principe di Cutò.
L’episodio è raccontato da un nobiluomo dell’epoca che molto si adoperò per dare lustro a Siracusa: Mario Tommaso Gargallo.
Nel gennaio del 1804 il gentiluomo siracusano Saverio Landolina rinvenì la celebre statua che oggi è conservata al museo Paolo Orsi di Siracusa.
La città più meridionale della Sicilia, affranta da vecchie abitudini di vita municipale e dalle difficili comunicazioni, viveva una vita tutta raccolta in se stessa, pervasa di nostalgici ricordi per la fortuna dei tempi antichi.
Il ritrovamento della statua destò un forte interesse nei cittadini, ma anche all’esterno, tanto che il luogotenente generale in Sicilia Principe di Cutò decise di trasferire la statua nel nuovo museo di Palermo.
I siracusani accorsero prontamente in difesa, riuscendo a non subire l’ennesimo affronto.
Racconto l’episodio nel mio romanzo “I fantasmi di Dioniso” Morellini Editore. Di seguito un estratto:
«Già nel 1767 la biblioteca storica della città, ricca di opere classiche e manoscritti, fu trasferita a Catania per arricchire quella della città vicina che era più potente» continuò scavando in corrispondenza dell’addome, per tirare fuori il braccio da quella forma amorfa. «Quando Saverio Landolina, nel gennaio del 1804, rinvenne la scultura al confine tra il quartiere di Akradina e Neapolis, essa apparve subito come un capolavoro prodigioso. Una delle più belle opere che l’arte greca avesse mai prodotto con il marmo. I viaggiatori, che passavano da Siracusa, si fermavano ad ammirare la scultura e i cittadini si sentivano fieri e commossi di avere tale simbolo di bellezza, considerandola una promessa di resurrezione della loro città.»
Il braccio si era finalmente staccato dal corpo. Procedette con l’addome e il seno, guardando fissamente Ludmille che lo ascoltava attenta.
«Era un periodo in cui, in quella terra, vigeva lo squallore e la decadenza, e di questo si crucciavano gli illustri siracusani, tra i quali mio nonno Tommaso Gargallo, coltissimo poeta. In quel clima di accoramento per le sorti della città, il ritrovamento della statua meravigliosa aveva destato interesse e mille progetti si affollavano nella mente degli uomini più stimati.»
Prese una retina e cominciò a levigare il bacino e le cosce, prestando attenzione a mantenerne la rotondità e la consistenza.
«Infine, fu deciso di fondare un Museo Patrio per ospitarla degnamente e già nel 1811 esso si poteva visitare, con orgoglio dei siracusani» sbirciò ancora la donna che lo guardava con espressione interessata.
«Ma il rumore destato da tale successo aveva risvegliato la cupidigia di signorotti di altre città. In particolare, a Palermo, si stava complottando il rapimento di Venere. Il principe di Cutò, luogotenente generale in Sicilia, si mise in testa di superare Paride che aveva rapito la più bella delle donne mortali, e decise invece di sottrarre la più bella delle dee. Per giungere a tale conquista, anche a Palermo si fece sorgere un bellissimo museo e si propose al Re Ferdinando di arricchirlo, facendovi trasportare la statua scoperta a Siracusa» si fermò a sottolineare il suo stesso sdegno per quanto stava per avvenire. «I siracusani ricevettero l’ordine di consegnare il busto per il trasferimento, ma prontamente si rifiutarono e il Senato della città inviò al Re una rispettosa, ma fermissima, protesta, in quanto sarebbe stato ingiustificato spogliare il museo siracusano di oggetti trovati nella città.»
«Che cosa terribile. La povera Venere di Siracusa fu rapita infine?»
«No, con un espediente. Non edificante, ma il fine giustifica i mezzi. C’è chi sostiene che in questo atto di ribellione fosse stato inviato al Re un dispaccio nel quale si raccontò di un episodio accaduto al tempo di Tiberio, così come riporta lo storico romano Svetonio. In quell’epoca, da Siracusa era stata trasportata a Roma una statua colossale di Apollo Temenite. Tiberio aveva l’intenzione di consacrarla nella biblioteca del nuovo tempio ma, proprio in prossimità della cerimonia, gli si presentò il nume in sogno, con le sembianze del simulacro, annunciandogli che non si sarebbe potuta compiere quella cerimonia, così come si avverò. Infatti l’imperatore fu colto, improvvisamente, dalla morte. Nella missiva si affermava che la divinità tutelare aveva mostrato di sentirsi oltraggiata per essere stata staccata dalla sua antica sede e si concludeva porgendo una domanda retorica: Per quale fato la povera Siracusa deve essere sempre spogliata dei suoi migliori ornamenti?»