Quando si studia l’opera di un artista non è sempre facile indagarne a fondo il pensiero e le intenzioni. Nel caso di Mirò questo è stato possibile grazie al suo carattere metodico, che lo ha portato, nel corso della vita, a conservare meticolosamente tutto quanto gli era servito per preparare le sue opere. L’insieme di questo materiale costituisce attualmente una parte essenziale del Centro documentazione su Mirò in possesso della Fundació.
L’opera di Mirò non si può capire senza tener conto dello stretto rapporto tra pittura e poesia, due elementi inscindibili. Per tale ragione è di fondamentale importanza conoscere gli autori delle opere amate dall’artista. All’interno della fondazione vi è la biblioteca personale di Mirò, in cui risalta particolarmente lo spazio dedicato alla poesia con opere tra gli altri di Guillaume Apollinaire, Alfred Jarry e Joseph Deteil, come altri autori amici con i quali collaborò, tra i cui André Breton e Paul Éluard.
La visita alla Fundació Joan Miró di Barcellona rappresenta una vera e propria immersione nell’arte contemporanea. Difatti l’esposizione comprende dipinti, disegni, sculture, ceramiche, opere tessili e un fondo completo di opere grafiche. Dispone inoltre di un’eccezionale collezione di bozzetti, appunti, modelli, schede di lavoro e corrispondenza dell’artista. Si tratta di una collezione vasta e variegata, rappresentativa di tutti i periodi e le tecniche utilizzate, a partire dalla donazione iniziale al nuovo centro realizzato dall’artista.
Mirò scrisse: “che la mia opera sia come una poesia tradotta in musica da un pittore”.
Le iscrizioni che compaiono in alcune opere, soprattutto degli anni 20 e 30, hanno decisamente un carattere poetico. L’interesse dell’artista per la filosofia zen per l’arte dell’estremo oriente è percettibile nelle sue opere dei primi anni. Il vuoto che lo aveva sempre ossessionato occupa di nuovo un posto centrale nella produzione a partire dagli anni 70. In questo periodo Mirò si ritira a Palma di Maiorca dove, nella solitudine dei suoi atelier, trova un’atmosfera favorevole alla contemplazione.
La sua produzione, a partire dagli anni 70, comprende dipinti dall’esecuzione lenta dove un’elaborazione accurata predomina sul gesto e altri momenti che danno vita a una vigorosa espressività. Mirò non si rassegna all’inerzia, anzi controlla costantemente il suo lavoro ed è attento ai contributi degli artisti delle nuove generazioni.
La produzione offre numerosi esempi di evasione dalla terra, con opere in cui prevale il senso in cui le figure si accostano gli astri. La presenza umana aleggia sull’opera attraverso le sue orme e gli oggetti. Nel 1974 assistiamo a una fase che egli stesso definisce la distruzione della pittura. Il suo assassinio della pittura non è altro che una ribellione contro uno stato mentale e le tecniche pittoriche tradizionali che più tardi verranno giudicate moralmente discutibili. La sua tesi principale insiste sull’argomento dell’inganno della pittura illusionista, l’autocritica permanente, il disprezzo del talento, il rapporto tra arte e vita, la commercializzazione dell’arte, la crisi dell’arte. Lo strumento della sua insurrezione è la poesia che si trova ovunque.