Centuripe sorge ai limiti dell’area etnea, in una scoscesa montagna che domina la valle del Simeto, del Salso e del Dittaino. Sulla base degli studi archeologici è stato accertato che il centro primordiale nasce da una serie di insediamenti di età protostorica e appare già caratterizzato nell’ottavo secolo avanti Cristo.
La storia della ricerca archeologica a Centuripe comincia con Tommaso Fazello, che intorno alla metà del 16º secolo visita il sito della città e ne ricorda le imponenti rovine. Nel 18º secolo il principe di Biscari descrive i monumenti più rilevanti. Nel 1901 Paolo Orsi dà notizie di scoperte casuali. Dal 1906 al 1912 inizia la sistematica esplorazione della necropoli di contrada Casino.
A seguito delle scoperte dei primi del novecento nasce, negli anni 20, il primo museo comunale. Nell’attuale sede, inaugurata nel 2000, sono confluiti i materiali degli scavi più recenti, mentre restano tuttora Siracusa, al museo archeologico regionale Paolo Orsi, la quantità più imponente della coroplastica centuripina, tra cui materiali rinvenuti nella necropoli e alcune opere di statuaria.
Centuripe ha anche il più consistente numero di terracotte teatrali, maschere e statuette della Sicilia, dopo Lipari, rispetto alla quale costituisce un completamento, appartenendo a una fase successiva. La produzione di Lipari e finisce con la distruzione della città da parte dei romani nel 252 avanti Cristo, proprio quando inizia Centuripe, dove continua fino agli ultimi decenni del primo secolo avanti Cristo. Le maschere servono a caratterizzare i personaggi appartenenti a diversi generi letterari del teatro greco, come la tragedia, il dramma-satira, la commedia. Le maschere comiche appartengono alla commedia nuova di Menandro. La differenza tra Lipari e Centuripe più che nei tipi di repertorio è nella funzione che viene ad assumere il modello di maschera dell’ellenismo avanzato.
A Lipari si trattava sempre di veri e propri modellini di maschere a scala ridotta, mentre molte maschere di Centuripe appartengono a un tipo concepito come rilievo, per una visione esclusivamente frontale e destinate a essere appese alle pareti.
Le terrecotte di argomento teatrale costituiscono una parte significativa della produzione. Sebbene questi oggetti devono aver avuto un uso nella vita quotidiana, appare marginale in confronto all’uso funerario, attestato da una grande quantità di testimonianze. La deposizione in tomba è legata al culto di Dioniso, così come la presenza di vasi con raffigurazioni del Thiatos dionisiaco.
Dioniso è una divinità dalla personalità complessa: è al tempo stesso il dio del vino, che presiede alla gioia del banchetto del convivio, il dio del ditirambo del teatro, la cui origine è strettamente legata alle feste in suo onore, e anche al Dio che nell’oltretomba che assicura beatitudine ai suoi fedeli.
Il romanzo “I fantasmi di Dioniso” raccoglie la suggestione della maschera teatrale legata al culto di Dioniso:
Era la maschera, avvolta in un lembo di carta sottile.
«È stupenda, non credete?» Orsi ammirava il reperto come se lo vedesse per la prima volta.
Gargallo ritrovò l’espressione sorridente, quasi briosa.
Ancora gli apparve alla mente l’immagine della maschera parlante, pungolata dalla fiamma del cero posto
innanzi, nella sera del loro ultimo incontro.
La suggestione era stata veramente forte, e l’oggetto, per quanto materico e statico in quella visione sterile,
circondato dalla carta velina, trasmetteva una sensazione di vitalità che l’uomo non aveva trovato in nessun
altro manufatto.
Pensò che fossero la porosità del materiale o la particolarità delle forature al posto delle pupille.
In ogni caso, la maschera generava un messaggio ancora indecifrabile per lui.
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