Uno degli amici più stretti di Amedeo Modigliani è il compagno di sventura Maurice Utrillo, il disagiato, debole di spirito o maschera di Pierot.
I due si trovavano spesso in giro per Parigi, che ci fosse il vento o il sole, urlando e declamando Leopardi, Carducci e Dante.
Utrillo è figlio illegittimo di Suzanne Valadon, il cui vero nome è Marie-Clémentine Valade. La donna giunge a Montmartre all’età di 15 anni con sua madre lavandaia.
Dapprima è acrobata al circo Molier, dove subisce un incidente al trapezio. Molto bella e affascinata dagli uomini diventa modella col nome di Maria.
Posa per Renoir, Toulouse-Lautrec e Degas, intrecciando spesso delle relazioni con gli artisti. Intelligente e dotata ne approfitta per imparare la tecnica del disegno e della pittura, incoraggiata dai pittori. Toulouse-Lautrec la chiama “la terribile Maria” e nel 1899 ne fa un magnifico ritratto intitolato “La bevitrice”. Egli stesso le suggerisce di farsi chiamare Suzanne.
Quasi per caso nasce il figlio Maurice, che viene allevato da una nonna analfabeta, la quale gli dà da bere vino fin dai primi giorni di vita. Utrillo già a diciott’anni è alcolizzato cronico e viene ricoverato parecchie volte.
La madre cerca di trovargli qualcosa da fare e gli regala la prima scatola di colori; inizia così una carriera che gli darà fama internazionale. Per anni è trattato come lo scemo del villaggio, subendo scherzi d’ogni sorta. Modigliani, scorgendo subito il suo talento, ne prende le difese.
Utrillo è un angelo ferito e fragile.
Il nuovo marito di Suzanne, André Utter piastrellista alla Butte, e la madre gli riservano ogni tanto delle attenzioni, soccorrendolo periodicamente.
Quando arriva il successo entrambi, stupiti, lo aiutano a spendere i soldi guadagnati.
Amedeo preferisce la compagnia di Utrillo, ne ama il talento e la semplicità.
Per lui Utrillo rappresenta l’innocenza della pittura. Spesso i due si rifugiano l’uno nell’altro, come se volessero confortarsi mutualmente per la cattiveria degli altri.
Modì e Utrillo sono gli angeli incoscienti, istintivamente geni inconsapevoli e inascoltati.
Brano tratto dal romanzo “Parlami in silenzio Modì”:
Kaddish
«Itgadàl vitqadàsh shemè rabbà» poggiata la testa sulla spalla di Suzanne Valadon, cominciai a intonare una preghiera ebraica che si soleva recitare in prossimità di un lutto.
Non so perché, mi sentii confortato da quella donna.
Forse il pensiero inconscio andava a mia madre, amata e lontana. Suzanne era anche lei una mamma, sebbene a suo modo, in quanto il figlio Maurice Utrillo aveva pagato caramente per tutti gli errori della sua genitrice.
«Scenda dal cielo un’abbondante pace e una vita felice su di noi e su tutto il popolo d’Israele» continuai rantolante, mentre la testa mi scoppiava e una lama sembrava trafiggermi alle tempie. Annebbiato, mi ero lasciato cullare tra le sue braccia, addormentandomi inerme.
Furono giorni tristi, giorni di attesa, di sguardi e silenzi.
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