Vincent van Gogh ha un merito fondamentale: quello di avere dato vita e passione al buio, a ciò che è celato nell’oscurità della notte.
Forse perchè il suo animo irrequieto e pulsante si riflette proprio in questa oscurità apparente, fatta di un universo brulicante che prende vita al chiarore flebile degli astri.
La notte è il momento in cui l’essere ritrova se stesso, non più abbagliato dalla forza dei raggi solari. E’ il momento della riflessione, della concretezza dell’anima, ma anche della solitudine interiore.
“Ho fatto una passeggiata lungo il mare una notte, sulla spiaggia deserta. Non era allegra, ma neanche triste, era – bellissima. Il cielo, di un blu intenso, era punteggiato da nuvole di un blu più profondo del blu primario, un intenso cobalto e con altri blu più chiari, come il biancore blu della via lattea. Contro lo sfondo blu le stelle brillavano, luminose, verdastre, bianche, rosa chiaro – più luminose, più scintillanti, più simili a pietre preziose che a casa – anche a Parigi. Quindi sembra giusto parlare di opali, smeraldi, lapislazzuli, rubini, zaffiri. Il mare era un ultramarino molto profondo – la spiaggia era un colore violaceo e rossiccio pallido, mi sembrava – con cespugli”. Lettera a Theo Les-Saintes-Maries-de-la-Mer, domenica 3 o lunedì 4 giugno 1888.
“Quella stessa notte ho guardato fuori dalla finestra della mia stanza sui tetti delle case che si vedono da lì e le cime degli olmi, scure contro il cielo notturno. Sopra quei tetti, una singola stella, ma una bella grande, amichevole. E pensavo a tutti noi, e pensavo agli anni della mia vita che erano già passati, e alla nostra casa, e le parole e con sentimento mi sono venute: ‘Tienimi lontano dall’essere un figlio che causa vergogna, dammi la tua benedizione, non perché me lo merito, ma per il bene di mia madre. Tu sei Amore, porti ogni cosa. Senza la tua costante benedizione non possiamo fare nulla” Lettera a Theo, 31 maggio 1876.