Il villaggio di Auvers-sur-Oise è un borgo poco distante da Parigi, raggiungibile con mezz’ora di treno.
Già nella piccola stazione solitaria ci si immerge in un’atmosfera surreale, in quanto mai si potrebbe pensare che, a pochissima distanza dalla capitale, vi sia un villaggio tranquillo e totalmente immerso nella pittoresca campagna francese.
Si trova nel cuore della valle dell’Oise e ha accolto numerosi artisti che ne hanno fatto il luogo privilegiato del loro lavoro, come Vincent van Gogh, Cézanne, Corot e Daubigny, che qui hanno trovato la loro ispirazione.
Tra i luoghi più rappresentativi di tutto il percorso spicca l’abside della chiesa e la scalinata di Auvers, immortalate da Van Gogh, e la casa dell’impiccato, dipinta da Cézanne.
Eppure, se vi trovate a passeggiare tra le stradine del borgo, respirate un’aria nuova, densa di significati nascosti che vi infondono un senso di pace ma, nello stesso tempo, di inquietudine.
È quello che è successo a Vincent van Gogh, che ha deciso di concludere la sua esistenza proprio in questo luogo.
Come non rivederlo inoltrarsi nei campi di grano con le sue tele, i pennelli, i colori. Sicuramente con un cappello di paglia sul capo, per proteggersi dal sole, Vincent ha vagato per questi luoghi alla ricerca di uno scorcio, di un lampo che lo inchiodasse alla tela.
Nonostante il senso di pace estrema che avvolge l’abitato, la sua inquietudine interiore non ha trovato pace in questo luogo, spingendolo verso l’abisso.
Non è possibile restare insensibili davanti all’edificio squadrato, e aggraziato allo stesso tempo, della pensione Ravoux, dove Van Gogh ha vissuto gli ultimi due mesi della sua esistenza.
Sbirciando dai vetri si vedono ancora i tavoli della locanda dove Vincent ha trascorso molte ore. Al piano di sopra la stanza dell’ultimo commiato, intatta come l’ha lasciata lui, con le crepe ai muri e l’intonaco sgretolato.
E ancora la casa del dottor Gachet, luogo oggi dedicato all’incisione contemporanea; la statua di Van Gogh, realizzata dallo scultore Zadkine.
Il paese sembra essere rimasto così come lo ha lasciato Vincent, forse proprio per fare in modo che il visitatore possa respirare la sua stessa aria e calcare i suoi passi.
La passeggiata dell’osservatore silenzioso, estremamente chiuso nel ricordo di ciò che Vincent è stato in vita, dei suoi quadri, dei colori, delle sensazioni e i fremiti che è riuscito a darci, si conclude per un accorato saluto nel cimitero, sulle colline del villaggio, dove riposano Vincent Van Gogh e il fratello Théo, per sempre insieme.
Ho avuto la fortuna di esserci stata, con il mio romanzo in mano, e Vincent mi ha sorriso.
Brano tratto dal romanzo “Vincent in Love – il lavoro dell’anima”:
Così mi voltai e andai via, fuggii dagli sguardi, dai commenti,
dai progetti futuri, non riconoscendomi affatto in
quella figura che tutti cercavano di delineare. Non avrei potuto
più ascoltare le interpretazioni che la gente tentava di
dare alla mia arte, disconoscendole puntualmente e cercando
di placare l’impeto di prendere le opere che avevo prodotto,
nella loro interezza, e seppellirle.
Quanto avrei ancora resistito alla tensione che mi dilaniava
quando mi trovavo davanti a un mio dipinto insieme ad
altre persone e a dover ascoltare definizioni e descrizioni che
rinnegavo, che sentivo lontane?
Ma perché mai il senso di ogni lavoro non poteva essere
definito ed enunciato chiaramente? Io stesso provavo sentimenti
diversi a ogni accostamento, avvertendo la contraddizione
di dare un’interpretazione diversa. Mi prese il dubbio
che le opere fossero realmente vive e che, dall’interazione
con gli altri, potesse nascere ogni qualvolta un dialogo differente.
Un pezzo della mia anima era di sicuro lì dentro.