Vincent van Gogh, un uomo dalla personalità controversa, ma che, se studiata a fondo, presenta aspetti di profonda coerenza e fermezza.
Vincent era un fervente credente, ma rifuggiva gli standard della Chiesa del tempo, imposti dal padre, pastore protestante della comunità in cui viveva.
Il giovane Vincent odiava le convenzioni, le azioni fatte di meccanicismi che poco avevano a che fare con la realtà dei sentimenti e della realtà dell’essere.
Per tale ragione il suo Natale ideale è all’interno di un focolare come quello dei Mangiatori di Patate, una famiglia vera dove le relazioni sono improntate alla semplicità e al sentire reciproco. Una famiglia ben diversa dalla sua, nella quale non viene accettato tutto ciò che non rientra nei canoni prefissati.
Un nido di serenità. La materializzazione dei sentimenti, delle emozioni, che richiama l’angolo di paradiso creatosi in un’umile casa, la realtà gravosa di quel mondo spesso relegato ai margini, quasi negato, eppure forte e pregnante di umanità.
Il nido perduto e ritrovato, a sprazzi, nelle sue tele.
Brano tratto da Natale, all’interno del romanzo “Vincent in Love, il lavoro dell’anima”, Cairo Editore.
La sera della Vigilia mio padre, come ogni anno, volle tutta la famiglia riunita in salone intorno a sé al fine di declamare i brani scelti per il sermone dell’indomani, corredati da commenti e litanie che avrebbero coinvolto tutta la comunità del paese. Io vivevo con una certa sofferenza quell’insieme di pratiche che si ripetevano con cadenza annuale, talmente
uguali da riuscire a far diventare monotona una festività bella come il Natale che per me, essendo legata alla nascita di Cristo, rappresentava il rinnovamento e la gioia insiti nella venuta al mondo di una nuova vita. Un bimbo non piange o ride a comando, non obbedisce alle regole del mondo ma solo alle sue, all’istinto e alla natura che prorompente si impone a tutela della stessa esistenza. Niente è più spontaneo della nascita di un bambino e noi la celebravamo con gesti meccanici e ripetitivi. Nonostante la mia avversione, non potei sfuggire alla veglia e dovetti partecipare alla serata in casa. Entrato nel salone tutti mi attendevano per cominciare e mi era stata riservata la sedia alla destra di mio padre. Avrei dovuto essere orgoglioso di quel posto, ma già presagivo che qualcosa di terribile sarebbe successo di lì a poco.
Mio padre lesse quasi per tutta la sera, cedendo la Bibbia solo per qualche minuto alla signorina Mulder, devota e attenta per ogni incombenza che potesse riguardare la comunità ecclesiale. La signorina recitò incespicando come sempre ogni due o tre parole, battendosi la mano sulla gola quasi per farsi coraggio e sistemando gli occhialini metallici sul naso ripetutamente.
I suoi capelli grigio argento facevano delle onde sul capo, come fossero stati stirati con un ferro, e andavano a raccogliersi ordinati sulla nuca. Pensai che all’indomani, in chiesa, tutte le donne avrebbero avuto quella acconciatura in segno di compostezza e di celebrazione della festività, come se il Signore le avesse accettate nel suo regno solo guardano la pettinatura
conformata all’usanza. E anche Kee avrebbe avuto la stessa pettinatura, ne ero certo, anche se sarebbe stata quasi interamente coperta da un pesante merletto nero.Il giorno dopo, di buon mattino, venni svegliato da rumori
provenienti dalle stanze, segno che tutti stavano svolgendo il rito di preparazione alla celebrazione della festività. Ripensai al bimbo nato nella stalla tra gli animali, adorato dalla povera gente, seguito da una stella che ne annunciava l’avvento. La stalla non era un luogo per vestizioni celebrative, ma un posto dove il pungente odore di sterco e di legna bagnata
dalla notte si mischiava al fango appiccicato alle scarpe, dove il latte caldo appena munto poteva lenire i morsi della fame. Dio aveva deciso di scendere in terra tra la povera gente, dove la legge dell’amore governa ogni cosa, senza costrizioni e convenzionalismi.Io afferrai il mantello appeso all’ingresso e andai via per non tornare più. Dietro di me sentii mia madre chiamare ancora, ripetutamente, ma non avevo altra scelta. Costernato per il dolore che stavo provocando a colei che mi voleva bene più di ogni altra persona al mondo, agnello sacrificale posto
sull’altare della mia indipendenza, seguitai a passo svelto senza voltarmi, duro e deciso.
Per strada la gente si incamminava verso la chiesa, chiusa nei mantelli scuri. Tutti procedevano nello stesso verso, come un fiume costretto dagli argini che ne segnano il percorso obbligato. Io, controcorrente, con fatica, cercavo di raggiungere la libertà.